Oggi voglio parlarvi di qualcosa di molto personale. Voglio parlarvi della mia nuova canzone, OFFLINE, e del mondo da cui proviene.
L’ispirazione: premere “elimina” sulla propria vita
Tutto è iniziato con una sensazione, quella che credo molti di noi provino: il peso del nostro “io” digitale. Viviamo curando un profilo, aggiornando un’immagine, preparando la battuta perfetta prima ancora di parlare. Eravamo lì, ma non eravamo presenti.
La canzone si apre su un’immagine precisa: “Tre di notte, ho premuto elimina”. È un atto drastico. È la cancellazione di otto anni di foto, di ricordi digitali. Ma è anche una liberazione. Il telefono pesa meno, ma il protagonista affonda nel letto, nel vuoto che si è appena creato.
Il vuoto dopo lo schermo
La prima parte della canzone è dedicata allo smarrimento. C’è un’ansia quasi fisica nel non avere più lo scudo dello schermo. Le mani non sanno cosa fare, gli occhi non sanno dove guardare.
E adesso cosa faccio con le mie mani quando non scorrono più niente? Dove guardo quando cammino se non c’è uno schermo che mi protegge?
Questo è il cuore della dipendenza. Non è solo il contenuto che ci manca, è l’atto stesso, il gesto meccanico che ci protegge dal mondo, dall’imbarazzo, dalla noia, e persino dagli incontri reali. Come nel secondo verso, quando un sorriso spontaneo in un bar ci trova impreparati: “E scopro che non so più parlare / Senza aver preparato la battuta perfetta”.
Il ritorno al corpo
La vera svolta della canzone è un verso piccolo ma fondamentale, che arriva dopo settimane di disintossicazione:
Quarta: compro della vernice, dipingo una parete di blu non l’ho postato l’ho fatto e basta
È questo il punto. L’azione per l’azione, non per la sua condivisione. È il momento in cui il protagonista smette di esistere per un pubblico e inizia a esistere per sé stesso. La pittura sulla parete è reale, tangibile, e non ha bisogno di un like per essere valida.
Quando qualcuno, un mese dopo, gli dice “Ehi, ma sei sparito”, la risposta è la chiave di tutto: “Sono sempre stato qui”. La scoperta è che la nostra presenza digitale non è la nostra presenza reale.
Forse è questo il punto non sono mai stato dove pensavate ero solo un’immagine che aggiornavo adesso sono questo corpo che cammina
Essere nel mondo
Il finale della canzone è una trasformazione del ritornello. Le mani che prima erano vuote, ora “toccano cose, non schermi”. Lo sguardo che prima era protetto, ora “guarda avanti”.
OFFLINE è il mio invito, prima di tutto a me stesso, a mettere il telefono nel cassetto e a ricordarci di “essere nel mondo”. Non come profili, ma come corpi. Come persone.
Spero che questa canzone vi faccia riflettere su cosa toccate, cosa guardate e, soprattutto, su cosa significa, per voi, “essere qui”.