Oggi è un giorno speciale. Dopo riflessioni e silenzi, il mio nuovo singolo, “Zattere di specchi”, è finalmente disponibile su Youtube. È un pezzo che sento profondamente mio, un vero e proprio specchio dei pensieri che mi hanno accompagnato nell’ultimo periodo.
Questa canzone non è nata in un momento di grande euforia. È nata, piuttosto, da una sensazione persistente: la disconnessione. Viviamo nell’era della comunicazione costante, ma ho notato che, troppo spesso, le nostre interazioni assomigliano a quelle di “pesci dietro a un vetro”: le vediamo, le sentiamo, ma c’è sempre qualcosa di trasparente e invalicabile che ci tiene separati.
La sete in un deserto buono
Il tema centrale del brano è riassunto bene nel ritornello: quella “sete, una sete che non so, in questo deserto buono”.
Quel deserto non è un luogo ostile, ma uno spazio vasto e silenzioso dove, forse, ci si può finalmente sentire a proprio agio nella propria solitudine, pur riconoscendo un bisogno profondo e irrisolto. La sete è la mancanza di autenticità, il bisogno di un “sorso di qualcosa vero” in quella che definisco una “finta primavera”, dove tutto sembra fiorire, ma i frutti sono di plastica.
Quante volte ci siamo sentiti diretti da una “bussola sul petto” che è in realtà un “orologio rotto”? Seguiamo direzioni e ritmi imposti, ma senza una vera destinazione, senza sapere realmente chi siamo in quel preciso istante.
Armature e mani vuote
La seconda strofa si concentra sul nostro modo di relazionarci. Parla delle “armature” che indossiamo e di come i nostri sorrisi siano a volte solo ganci per tenerle su. È una critica dolceamara a quel bisogno di “collezionare applausi, che non fanno più rumore” e che mettiamo in tasca al posto del calore umano. Il cielo diventa un “grande schermo” dove recitiamo la parte che nessuno ama, la parte socialmente accettata, lontana dalla nostra verità.
Il bridge è il momento in cui cade la maschera, in cui si arriva al punto cruciale: le mie mani sono vuote. C’è stata una fase in cui ci hanno detto che il contatto è sbagliato, che la pelle è una frontiera sorpassata. Ma il corpo, l’anima, l’essere, continuano a cercare una forma, una forma vera.
Per me, scrivere questa canzone è stato il modo per confessare questo bisogno di tornare all’essenziale, di trovare un’ancora che sia il respiro di qualcun altro.
L’invito ad ascoltare
Spero che “Zattere di specchi” possa risuonare anche con la tua esperienza, facendoti sentire meno solo nel tuo deserto. Ascoltala, lasciala filtrare, e magari dimmi cosa rappresenta per te.
Il video, che ho realizzato, cerca di catturare queste immagini: la tristezza eterea del vetro, la desolazione del deserto e, infine, la fragile, ma testarda, speranza di trovare qualcosa di vero.
Puoi ascoltare “Zattere di specchi” qui:
Grazie per il vostro supporto costante. Troviamo insieme quel sorso di qualcosa vero.
A presto,
Marco