“Loop Perfetto”: genesi di una canzone sull’alienazione

Oggi vi presento il mio nuovo brano, “Loop Perfetto”. È una canzone che nasce da una sensazione specifica, quella che credo molti di noi abbiano provato: la sensazione di essere bloccati in un ciclo, in una routine che si ripete all’infinito fino a farti dubitare di cosa sia reale.

L’idea è iniziata con un’immagine: “Sei del mattino, mi sveglio o devo andare a letto… chissà.”

È l’immagine dell’insonnia che si confonde con la sveglia, del giorno e della notte che perdono i loro confini. È il simbolo perfetto dell’alienazione moderna.

L’ispirazione: un fantasma da La fabbrica di plastica

Chi mi conosce sa quanto io sia legato a certi suoni. Per questo pezzo, l’ispirazione non è solo musicale, ma concettuale, e arriva dritta da Gianluca Grignani.

Non parlo del Grignani più celebre, ma di quello più sperimentale, crudo e “scomodo”. L’ispirazione diretta è “Qualcosa nell’atmosfera”, una ghost track (un brano nascosto) che chiude uno degli album italiani più importanti di sempre, La fabbrica di plastica. Quel brano è pura alienazione, un flusso di coscienza quasi disturbante. “Loop Perfetto” è il mio modo di omaggiare quel sentimento, trasportandolo nel mio vissuto.

Cosa c’è dentro “Loop Perfetto”

Il testo non parla solo di una routine personale. Parla di come il mondo esterno alimenta questo loop.

Quando nel brano dico:

Accendo la tv, parole d’odio, non ne posso più, parole in nome della libertà… eh già!

parlo di quel rumore di fondo tossico che ci circonda. È un rumore che contribuisce alla confusione e all’impotenza, che ci porta a chiederci:

Non sono poi così sicuro, di quel che mi dicevan da bambino, il bene vince sempre, ma tu ci credi veramente?

Questa è la disillusione. Il “loop perfetto” del titolo non è solo la routine sveglia-lavoro-sonno. È anche il loop dei pensieri che si avvitano su sé stessi, l’impossibilità di trovare una verità semplice in un mondo complicato.

La ribellione e la fuga impossibile

Il ritornello è la sintesi di questa frustrazione: “Cosa potrò mai fare, solo aspettare…”. È una constatazione amara. Ma subito dopo c’è l’urlo: “Tu lo sai che non mi va!”

Non è rassegnazione passiva. È la consapevolezza di essere in trappola, ma senza smettere di lottare, anche se solo a parole.

Nel finale, c’è un tentativo di evasione attraverso un’altra persona (“Dai, dammi la mano… andiamo in un’altra dimensione”). Ma è una fuga che fallisce, perché, come dico nel testo, “Anche se scappo, poi ritorno sempre qua”.

È un infinito replay. E forse l’unica cosa che possiamo fare è guardare qualcuno negli occhi e dirgli “non ti sto dicendo addio”, aggrappandoci a un legame umano per non impazzire del tutto.

Spero che in questo brano possiate trovare qualcosa di voi. Ascoltatelo e, se vi va, raccontatemi quale è il vostro “loop perfetto”.