A volte ti fermi. Guardi due volti che conosci da sempre, o forse guardi solo le tue mani, e ti rendi conto di una cosa: il tempo è passato. È corso via in un soffio, molto più veloce di quello che sembrava.
E tu sei lì, un uomo, con le tue responsabilità, le tue giornate da riempire, i tuoi “oggetti e svaghi a profusione”. Eppure, in un angolo del petto, senti ancora gli occhi di quel bambino che ha bisogno di un abbraccio, che cerca l’affetto di chi è sempre stato vicino.
“Occhi di un bambino” nasce da questa vertigine.
L’uomo allo specchio
La canzone è un flusso di pensieri. È la sensazione di rivedersi negli sguardi degli altri, nei loro gesti stanchi, nei loro acciacchi che, lentamente, diventano anche i tuoi. È la domanda che ci terrorizza tutti: “che ne sarà quando poi tutto sarà spento?”.
È il timore che tutto diventi oblio, un ciclo senza fine dove riempiamo le giornate senza averle davvero vissute.
Ho voluto scrivere un testo che non fosse esplicito. Non parla “di” qualcuno, parla “dell’”eco” che quel qualcuno lascia.
I simboli di un’assenza
Questa canzone è fatta di stanze che sembrano diventate più grandi. È fatta di simboli potenti: una tavola lunga che ora sembra vuota, una scrivania che resta lì come un monumento silenzioso, una luce accesa fino a tardi che era un segnale di cura, un faro.
È la sensazione di camminare su un pavimento e sentire i propri passi pesanti, da adulto, ma cercare ancora quella luce.
La voce che manca
Alla fine, puoi avere tutto. Puoi riempire la tua vita di distrazioni, di successi, di cose. Ma c’è un momento, spesso quando cala la sera, in cui ti rendi conto che non è quello che conta.
È quella voce. Quell’amore. Quello che ti manca ora che sei grande.
“Occhi di un bambino” è per tutti quelli che, come me, a volte si sentono così: grandi fuori, ma con dentro uno sguardo che deve ancora imparare tutto.
Adesso puoi ascoltarla. E se ti va, fammi sapere cosa ti ha fatto sentire.