C’è un’immagine che mi ha dato il via per scrivere Sopra il filo di un respiro: una singola finestra illuminata in un palazzo quasi completamente buio, in una notte di pioggia.
Ho pensato a quante vite scorrono così, in parallelo. Solitudini urbane che si sfiorano senza mai toccarsi, ognuno dietro il proprio vetro, a “guardare la vita degli altri”.
Viviamo in un mondo che ci chiede costantemente di “fare rumore per dimostrare di esistere”. Ci spinge a urlare, a definirci, a riempire ogni vuoto. Questa canzone è la mia dichiarazione d’amore per l’esatto opposto: per il silenzio.
Riconoscersi senza parlare
Sopra il filo di un respiro non parla di gesti eclatanti, ma di quel momento quasi magico in cui “uno sguardo sente”. È la sensazione profonda di riconoscersi in un’altra persona, di vedere la propria stessa fragilità nei suoi occhi e sentirsi, per un attimo, “un po’ meno soli”.
È una canzone sulla difficoltà di stare in equilibrio, sul sentirsi come “due luci nella nebbia”, aggrappati a qualcosa di impalpabile e fragile come “il filo di un respiro”. È l’accettazione che la verità, a volte, “non ha voce”, ma si manifesta in una mano che trema o nell’attesa di un treno.
La piuma: il filo conduttore del video
Quando ho pensato a come tradurre in immagini questa sensazione, sapevo di non volere una storia convenzionale. Volevo un’atmosfera.
Ho scelto un simbolo per rappresentare quel “filo di un respiro”: una piuma.
La piuma è il vero protagonista del video. È fragile, leggera, trasportata dal vento. La vediamo viaggiare attraverso il caos della città, fluttuare nel rumore, e poi riposare nel silenzio. Rappresenta quel legame invisibile, quella connessione delicata che cerchiamo.
Il video è un viaggio in questa città notturna, deserta, quasi onirica. C’è la nebbia, l’asfalto bagnato, e c’è la piuma che danza, finché non conclude il suo viaggio nel silenzio assoluto di una strada deserta, forse a New York, forse in un luogo dell’anima.
Perché forse, come dice il bridge, “vivere è soltanto questo”: imparare il silenzio e, in quel silenzio, riuscire finalmente a riconoscersi.
Spero che questa canzone e questo video vi facciano compagnia nelle vostre notti.
E voi? Vi siete mai sentiti un “punto acceso” in un palazzo spento? Avete mai incontrato qualcuno con cui avete “imparato il silenzio”?
Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti qui sotto o sui social.
Un abbraccio, Marco